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call_of_juarez_the_cartel Eddie, Ben e Kim contro il Cartello Messicano.

Il franchise di Call of Juarez ha da sempre attirato una discreta fetta di videogiocatori grazie alla sua ambientazione Western, ma, colpo di scena, è proprio sotto questo aspetto che The Cartel porta una prima grande sterzata, proponendo una trama sviluppata nei giorni nostri. Ecco come è andata la nostra prova contro il Cartello più "infame" di sempre.

Call of Juarez: The Cartel racconta la storia di tre agenti appartenenti a tre diversi organi di polizia americani messi insieme in una task force per combattere uno dei più organizzati cartelli messicani specializzato nello spaccio di droga. Come c'era da aspettarsi, il fatto che i tre personaggi provengano da ambienti diversi non ha solo implicazioni a livello narrativo, ma offre un discreto impatto nelle meccaniche di gioco. Il detective della polizia Ben è il tipico pistolero, rude e incline alle maniere forti con la sua predisposizione a usare vecchi revolver da cowboy. Eddie e Kim, rispettivamente DEA e FBI, sono invece poliziotti moderni cresciuti per strada e dotati di tutti i cliché a cui i polizieschi americani ci hanno ben abituato. Insieme formano un gruppo eterogeneo che deve combattere con metodi che non possono definirsi tanto convenzionali. Se consideriamo poi che l'intera storia può essere giocata utilizzando uno per volta i tre personaggi e vivendo gli avvenimenti della trama dal particolare punto di vista di ognuno di essi, è lecito pensare che ci siano tutti i presupposti per bissare l'elevato numero di consensi incassato con i capitoli precedenti.

Purtroppo non è esattamente così. La storia non riesce mai a coinvolgere seriamente il giocatore ed i personaggi sono quasi delle caricature delle forze dell'ordine, il cui biglietto da visita è rappresentato da dialoghi risibili che da una parte riescono anche a divertire, ma dall'altra rendono arduo qualsiasi tentativo di prendere sul serio i protagonisti. Inoltre, gli intrighi che i signori di Techland hanno tentato di seminare nella trama non portano l'effetto sperato, i personaggi appaiono insofferenti tra di loro, finiscono per non piacere al videogiocatore che inevitabilmente rimane insensibile verso ciò che gli accade.

Dal punto di vista tecnico purtroppo le cose non vanno molto meglio. Sotto questo aspetto infatti l'ultimo arrivato della serie Call of Juarez si presenta come un gioco che avrebbe fatto una discreta figura solo qualche anno fa. Lo sgradevole effetto pop-up delle texture è frequente e talvolta decisamente vistoso. Spesso, con cadenza quasi regolare, il motore di gioco subisce degli scatti tanto evidenti da riuscire a disturbare il gameplay mentre i personaggi sono afflitti costantemente da problemi di collisione con gli oggetti circostanti. L'impatto visivo è altalenante, la periferia della metropoli americana è ben realizzata come lo sono anche i paesaggi desertici e tipicamente western che andremo a visitare nella seconda metà del gioco, ma la resa degli interni, delle armi e dei personaggi nel complesso non convince.

Il gameplay da FPS puro di Call of Juarez: The Cartel riesce tutto sommato a divertire, caratterizzato da frenetiche sparatorie alternate a fasi più esplorative in cui potremo anche dedicarci a raccogliere degli oggetti che consentono di portare a termine degli obiettivi secondari correlati in qualche modo ai vari personaggi del gioco. Il ritmo è rimasto veloce ed incalzante con tante armi da scaricare su di un nutrito numero di nemici che non si faranno ricordare per la loro varietà o arguzia tattica, ma si presentano sugli schermi supportati da un'intelligenza artificiale che contribuisce a non rendere le cose eccessivamente semplici. Ogni uccisione in base alla precisione del colpo assestato contribuisce al riempimento di una barra posta in alto nello schermo. Una volta riempita completamente questa barra si ha la possibilità di avviare una breve sequenza al rallentatore durante la quale sarà più semplice prendere la mira ed infilare una dopo l'altra una serie di uccisioni, magari con tanto di headshot. Lo slow motion torna anche nelle fasi di irruzione in stanze chiuse con tanto di sfondamento della porta stile squadre speciali, meccanismo già collaudato nel precedente capitolo che i fan della serie continueranno senz'altro ad apprezzare. L'azione di gioco è accompagnata da un comparto audio sicuramente più curato di quello tecnico, con una colonna sonora che accompagna l'azione di gioco senza strafare ed effetti delle armi tutto sommato gradevoli.

Passando alla modalità multiplayer la possibilità di giocare l'intera campagna insieme ad altri due amici online è una gradita novità che da sola riesce a rendere molto più interessante questo gioco considerato che questa feature è ancora abbastanza rara nel genere FPS. Oltre a questa però, giusto per confermare la tendenza degli sviluppatori a fare bene e male in ogni aspetto di questo gioco, le altre modalità non offrono grandi novità, ed anche l'esiguo numero di mappe disponibili non vi porterà a ringraziare il giorno in cui Dio creò il gioco online.

Concludendo...

Dopo aver apprezzato tantissimo il lavoro svolto con i capitoli precedenti, dal momento in cui abbiamo messo il gioco in console una domanda continua a riecheggiare nella mente: perchè?
Perchè abbandonare il coraggioso cammino intrapreso con i primi due capitoli, dopo l'ottima critica ricevuta? Perchè andare a perdersi nell'ambientazione anonima , nei soliti equipaggiamenti, nelle meccaniche più classiche, nei personaggi già visti, rivisti e stravisti? Dopo l'ottimo Call of Juarez Bound in Blood da The Cartel ci si aspettava la conferma che questa serie nata dal nulla ci avrebbe dato ancora grandi soddisfazioni. Così non è stato. Un gioco appena sufficiente e niente più: se  avete assolutamente bisogno di un nuovo FPS o se avete la possibilità di giocarlo con altri due amici in cooperativa potrebbe rivelarsi un buon acquisto, altrimenti ricordate che a settembre è in arrivo un'autentica valanga di giochi.